a cura di Vito E. SELLITRI
Consigliere Segretario ODAF Matera
Una delle caratteristiche peculiari di Matera è la particolare connotazione storico ambientale che la caratterizza. Infatti la presenza dell’uomo, dal punto di vista archeologico, è stata documentata dal Paleolitico inferiore medio, cioè da circa 430.000 anni a.C., come attestato dalle evidenze archeologiche conservate presso il Museo Nazionale “Domenico Ridola” di Matera; il territorio materano è di conseguenza tra i siti più antichi del mondo in cui si riscontra la presenza dell’uomo.
Ma cosa ha portato a creare le condizioni favorevoli per una presenza continuativa dell’Uomo? Particolari condizioni geologiche dovute alla spinta della zolla africana contro la zolla europea a partire dal Miocene, tuttora in corso, la cui la tettonica delle placche è oggetto di studio presso il Centro di Geodesia Spaziale che sorge a Matera dal 1983 in Contrada Tirlecchia. Nel corso dell’orogenesi appenninico – maghrebide, avvenuta dal Miocene al Pleistocene, la Piattaforma Apula risente di tali spinte, frammentandosi in blocchi. La Piattaforma Apula, detta anche Avampaese Apulo, si presenta come una zona rialzata, detta “Horst” in Geologia, da cui si dipartono due opposte gradinate di faglia, di cui quella che si immerge in direzione degli Appennini, ha formato un bacino di sedimentazione, denominato Avanfossa Bradanica (grosso modo tra Metaponto e Foggia) che sarà colmato da una imponente sedimentazione argillosa durante il Plio-Pleistocene. Matera sorge quindi al limite occidentale dell’Avampaese Apulo e al limite orientale dell’Avanfossa Bradanica. La Murgia di Matera, costituente una micro placca dell’Avampaese Apulo, corrisponde ad un piccolo “horst” separato dalle Murge pugliesi da una zona ribassata tettonicamente, denominata “Graben” in Geologia. Le zone poste a quota maggiore del territorio comunale (località Tempa Rossa e Murgia Timone, in direzione di Montescaglioso) erano in realtà delle isole, durante il Pliocene superiore (circa 2 milioni di anni fa) circondate da un mare caldo e poco profondo. Testimonianza di ciò, sono le presenze di spugne fossili e di ostriche, organismi tipici di acque calde e poco profonde, i cui resti sono presenti nei blocchi di biocalcarenite, localmente chiamato tufo, di media compattezza e facilmente lavorabile (anche se trattasi di roccia sedimentaria, poiché il vero tufo è una roccia magmatica). Con il tufo sono stati edificati i vari manufatti dei Sassi di Matera e del centro storico e grazie alle caratteristiche di erodibilità, si è formato il gran canyon al margine dei rioni Sassi, in fondo al quale scorre il Torrente Gravina; inoltre si sono create:
1) varie cavità occupate dagli uomini nel corso dei secoli, in qualche caso magistralmente adattate a chiese rupestri ed affrescate con cicli pittorici con stilemi bizantini, a seguito della diaspora di monaci greco-orientali dal Vicino Oriente, agli inizi del secondo millennio,
2) il paesaggio carsico sulla Murgia materana, con lame, doline ed inghiottitoi. Da qui la genesi dei Sassi di Matera, un’imponente opera di urbanizzazione rupestre derivante dallo scavo in roccia di ambienti molto complessi e dalla edificazione di facciate in stretta simbiosi con l’ammasso roccioso.
Anche la vegetazione presente sulla Murgia materana si è adattata a questo ambiente un po’ estremo, caratterizzato da una grande prevalenza di piante con caratteristiche xeriche, dove l’acqua è un fattore limitante e la zona è abbastanza ventilata. L’originaria macchia mediterranea si è degradata a gariga e pseudosteppa, con il conseguente cambiamento dei colori a seconda della stagione. In primavera si osserva una distesa di verde su cui si distinguono le fioriture degli Asfodeli, Cardo mariano, Papavero, Cisto ed Orchidee, tra cui la Scarpetta di Venere e l’endemica Ophris mateolana. A maggio il paesaggio si colora di striature argentate che si muovono al vento per la fioritura del Lino delle Fate. Nella gariga è possibile osservare il Timo, la Ruta, la Santoreggia, varie Euforbiacee. Nei lembi di bosco, è possibile osservare il Fragno, il Lentisco, la Fillirea, il Terebinto, il Leccio, il Perastro, il Fico, la Quercus virgiliana, il Mandorlo e altre specie. In casi più estremi, con ridottissima presenza di terreno, sul banco calcareo, abbiamo piante le cui radici emettono enzimi litici per penetrare più profondamente la roccia, come il Cappero, l’Ombelico di Venere e la Campanula pugliese.
Ciò premesso, iniziamo il tour da Piazza Duomo, e più precisamente dalla porta di accesso alla piazza, denominata “porta di Suso” (porta superiore), di coordinate 40° 39′ 58.65 N e 16° 36′ 38.63 E. Sul lato a valle, in alto sulla destra, è possibile osservare l’effige del governatore di epoca aragonese che risiedeva nel c.d. “Palazzo del Moro”, posto a qualche metro più in basso rispetto alla porta di accesso. Sulla facciata di tale palazzo (sec. XV) è possibile osservare quello che appare ora una balconata continua, ma invece è stata ricavata su dei corpi aggettanti di sostegno del precedente camminamento della cinta muraria di epoca aragonese che proteggeva il sovrastante Rione Castelvecchio. Oltrepassando la porta di accesso, si notano, in alto e in basso, i residui dei cardini della porta di accesso.
Arrivati in Piazza Duomo, a destra si trovano i cinquecenteschi Palazzo Malvinni – Malvezzi (in restauro) e Palazzo Gattini (sede di un albergo). Tali palazzi sorgono su preesistenti aree sepolcrali di epoca magnogreca. Palazzo Malvinni Malvezzi, è appartenuto a un ramo dell’omonima famiglia bolognese il cui corrispondente palazzo a Bologna ospita la Facoltà di Giurisprudenza.
Durante i moti che precedettero l’arrivo di Garibaldi in Basilicata Palazzo Gattini fu teatro della cattura del Conte Francesco Gattini l’8 agosto 1860 da parte della popolazione materana che reclamava la restituzione di terre demaniali. Il Conte Gattini venne ucciso il giorno successivo nella sottostante Piazza del Sedile. Oltrepassando l’arco di Palazzo Gattini, su Via Muro è possibile osservare la retrostante cappella gentilizia, con molte evidenze dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, cui appartenevano i Conti Gattini. Tale cappella è ora adibita a sala meeting. Via Muro, con i suoi archi aggettanti, è stata poi la location di molti film tra cui “The passion” (2004) di Mel Gibson, con splendida visione del Sasso Caveoso.
Ritornando su Piazza Duomo, occorre entrare nella Cattedrale. Realizzata in stile romanico – pugliese ed edificata sull’area del monastero benedettino di Sant’Eustachio, sorge sull’area più elevata tra il Sasso Caveoso ed il Sasso Barisano. Fu aperta al culto nel 1270 e intitolata successivamente ai patroni Santa Maria della Bruna ed a Sant’Eustachio. L’interno a croce latina e a tre navate ha subito varie trasformazioni. Nel 1863 cornici e stucchi della navata centrale furono rivestiti con foglia d’oro. Il controsoffitto ligneo è del 1719. Un frammento del ciclo pittorico che alla fine del XIII secolo decorava le pareti della cattedrale è visibile a sinistra rispetto l’entrata: è stato scoperto negli anni ’80 durante alcuni lavori di restauro e rappresenta il Giudizio finale, il Purgatorio e l’Inferno. Di fronte, nella navata sinistra, vi è la cappella della Madonna della Bruna, con un affresco di ispirazione bizantina del 1270 ed un altare in marmi policromi. Il secondo altare della navata sinistra è dedicato a San Giovanni da Matera, sotto l’altare vi è la statua in cera del Santo all’interno di una bara di argento e cristallo, mentre le reliquie sono contenute nel cuscino sotto la testa della statua. San Giovanni da Matera, benedettino, fondò alcuni monasteri ed era amico del benedettino San Guglielmo da Vercelli (XI sec.).
Proseguendo, si incontra l’altare di Sant’Anna, adornato da una pregevole tela del 1633 del frate Francesco da Martina. Si oltrepassa la Cappella del SS. Sacramento, con i suoi interni marmorei e la contigua Cappella dell’Annunziata realizzata da Giulio Persio, con volta a cassettoni e pareti a nicchie, di epoca rinascimentale. In fondo alla navata c’è il transetto, con la cappella del Presepe in calcarenite scolpita e dipinta, realizzato dagli scultori Altobello Persio e Sannazzaro di Alessano nel 1530-1534, dominato dal castello di Erode che richiama le forme del castello della città di Matera. Il presepe non è visitabile a causa di scavi archeologici e lavori di consolidamento di strutture murarie e affreschi venuti alla luce nel 2014.
Nel braccio destro del transetto è collocato l’organo a canne, al quale nell’ultimo restauro della basilica, è stato aggiunto un registro, e posizionato orizzontalmente all’infuori della cassa (Chamades), come un organo spagnolo, per una minore perdita di armonici dovuta alla dispersione, producendo quindi una sonorità migliore. L’altare maggiore è adornato con una grande pala di Fabrizio Santafede, raffigurante la Vergine attorniata dai Santi. Il retrostante coro ligneo in noce massello con 60 stalli, del 1453 non è purtroppo visitabile. Nella navata destra, partendo dalla zona dell’altare maggiore vi è l’altare della famiglia De Angelis con un Polittico attribuito a Vito Antonio Conversi (XVIII secolo). In corrispondenza della Porta dei leoni vi è una tela di Carlo Rosa del 1652 raffigurante san Gaetano da Thiene. L’altare successivo è sormontato da una nicchia rettangolare contenente un Crocifisso in legno del seicento. L’ultimo altare, un tempo della famiglia Gattini, è arricchito da una tela raffigurante Sant’Eustachio. In corrispondenza della Porta di Abramo ,la prima porta d’ingresso, vi è la tela raffigurante la Madonna delle Grazie attorniata dai Santi Iliario e Giovanni da Matera, realizzata da Domizio Persio nel 1592.
All’esterno, la facciata della cattedrale presenta un rosone con sedici raggi, sormontato dall’Arcangelo Michele e circondato da altre tre figure. Sul portale, sopra l’architrave la statua della Madonna della Bruna. Ai lati della porta due nicchie con le statue dei Santi Pietro e Paolo e alle due estremità della facciata gli altorilievi dei Santi Eustachio e della sua consorte Teopista. Proseguendo verso lo spigolo sinistro della facciata, è possibile osservare il campanile, alto 52 m e una targa che ricorda essere quella Via Riscatto, dove il 29 dicembre 1514 fu ucciso a seguito di una rivolta popolare il Conte Giancarlo Tramontano, già Mastro della Regia Zecca di Napoli che vessava la popolazione. L’uccisione del Conte bloccò i lavori di costruzione del castello, realizzato su fattezze del Maschio Angioino di Napoli e visibile al Parco Giovanni Paolo II. Il castello è visitabile solo in occasione delle giornate F.A.I.
Dopo una breve sosta alla balconata davanti alla facciata che permette di ammirare dall’alto tutto il Sasso Barisano, occorre ridiscendere Via Duomo, costeggiare Piazza del Sedile, sede del Palazzo del Sedile (1575) che ospitava l’Universitas (cioè il Municipio) ed ora sede del Conservatorio E.R. Duni, musicista materano, fondato da Nino Rota che musicò molti film di Federico Fellini. Si prosegue per Via delle Beccherie, così chiamata per le molte macellerie che vi si trovavano, e si arriva a Piazza Vittorio Veneto. Quivi è possibile osservare la Fontana Ferdinandea (1832) edificata durante il regno di Ferdinando II di Borbone, in sostituzione di una preesistente fontana del 1577 voluta dall’Arcivescovo Sigismondo Saraceno.
Costeggiando il lato destro della piazza, oltrepassando l’edicola, si arriva al punto panoramico, Belvedere Guerricchio, contraddistinto da tre archi con chiave di volta sporgente, tipologia diffusa a Matera. Da tale punto panoramico si può osservare una bella vista del Sasso Barisano dominato dalla facciata della Cattedrale. Accanto a tale balconata, sorge la chiesetta della Materdomini (1680) voluta dal Commendatore Silvio Zurla della Commenda dei Cavalieri di Malta di stanza al Santuario di Picciano, vicino Matera. La facciata si presenta con una fascia di bugnato a diamante, sovrastato dagli stemmi del Commendatario e dei Cavalieri di Malta, in alto il campanile a vela. Tale chiesetta, era in origine la torre campanaria della sottostante chiesa rupestre dello Spirito Santo, accessibile tramite una scalinata e che rappresentava il preesistente livello pedonale della piazza. Di questa chiesa rupestre tolta dal culto nel ‘700 e trasformata in ambienti usati come deposito e abitazione, si perse la memoria; è stata riscoperta durante i lavori di riqualificazione della piazza negli anni ’90.
Accanto alla chiesa rupestre, si trova l’ingresso del Palombaro lungo, visitabile, riscoperto nel 1991 e costituente la più grande cisterna per la raccolta delle acque piovane e sorgive, rivestita in cocciopesto e contenente circa 5 milioni di litri di acqua. Gli ultimi lavori nel Palombaro furono eseguiti nel 1882, e il Palombaro fu abbandonato nel 1920 a seguito della realizzazione dell’Acquedotto. Proseguendo, si osserva la Prefettura e la chiesa di San Domenico (in restauro) e si percorre Via San Biagio, fino ad arrivare a Piazza San Giovanni. Qui è possibile osservare a sinistra il vecchio ospedale di San Rocco del 1610 con all’interno la chiesa del Cristo Flagellato, con affreschi del 1720. L’ospedale fu edificato a seguito delle epidemie di peste del ‘600, e trasformato in carcere nel 1749.
Accanto, la chiesa di San Giovanni Battista, del XIII sec., chiesa in stile romanico pugliese con pianta a croce latina, è divisa in tre navate da otto pilastri con semicapitelli vegetali, zoomorfi e antropomorfi. Sculture di animali reali e fantastici come i grifoni sono presenti anche all’esterno. La chiesa subì notevoli lavori di rifacimento tra cui quelli del 1610 quando l’ingresso principale venne inglobato e nascosto nel contiguo ospedale.
Proseguendo per via San Biagio, si incontra sulla sinistra la chiesetta di San Biagio, purtroppo non visitabile; proseguendo per via Via Santa Cesarea, all’altezza di un fontanino, sulla destra ci sono dei gradini che conducono ad uno slargo, che è l’estradosso, ossia il tetto, della sottostante chiesa rupestre di San Pietro Barisano, il cui campanile sorge nei pressi della balconata. Da lì, si gode una ottima visione del Sasso Barisano e, di fronte, lungo la cinta muraria, si osserva una torre rotonda nota come torre Metellana, dal nome del Console Quito Cecilio Metello Macedonico: in realtà si tratta di una torre medievale posta a difesa di una delle porte della cinta muraria chiamata Porta del Sole. Tale cinta muraria, secondo la tradizione locale, difese la città dagli assalti dei Saraceni nel 994 d.C., assedio terminato il 20 maggio 994 grazie all’intercessione di Sant’Eustachio.
Proseguendo per Vico Santa Cesarea, è possibile osservare alcuni antichi palazzi a sinistra e il camino di un vecchio forno. Si arriva così alla carrabile Via D’Addozio. Svoltando a sinistra, in salita, si arriva di fronte alla chiesa di Sant’Agostino e annesso convento (1592). Occorre fermarsi per osservare un bel panorama con l’altipiano murgico, il canyon del Torrente Gravina e a destra, il Sasso Barisano. Si torna indietro per Via D’Addozio fino all’intersezione con Via San Pietro Barisano, dove si può visitare l’omonima chiesa rupestre. Tornati indietro su via D’addozio, al termine della discesa, si svolta a sinistra e si prende Via Madonna delle Virtù. Osservando l’altro versante del torrente Gravina, si individuano tre aperture regolari che fanno parte della Chiesa rupestre della Madonna degli Angeli una delle tante chiese presenti nel territorio del “Parco archeologico, storico, naturale delle Chiese rupestri del Materano”.
Seguendo Via Madonna delle Virtù si arriva allo spiazzo di Porta Pistola, dove sorgono i resti di un antico complesso monastico delle benedettine: Santa Lucia e Sant’Agata alla Civita e proseguendo, si trova l’accesso pedonale al ponte tibetano (ora chiuso). Arrivati in Piazza San Pietro Caveoso è possibile visitare l’omonima chiesa (1218). È un tuffo nel passato e il pregevole interno presenta la stratificazione delle varie epoche. Uscendo dalla chiesa, a sinistra, oltrepassando l’arco, è possibile osservare un bel panorama con il sottostante torrente Gravina. Tornando indietro e imboccando Via Bruno Buozzi, dopo la prima curva, a sinistra, si apre uno slargo da cui inoltrarsi verso il Massiccio del Monterrone dove si trovano due chiese rupestri: Santa Maria de Idris e San Giovanni in Monterrone e da cui si gode di uno splendido panorama. Ritornando su Via Buozzi, si prosegue a sinistra, in salita, fino alla scalinata di accesso al Rione Malve. Qui si può visitare il cimitero, in parte oggetto di scavo archeologico, il vicinato, oggetto dello studio sociologico di Lidia De Rita, su mandato di Adriano Olivetti e la chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve.